Avevo ventidue anni, sdraiato sulla branda con addosso la mimetica degli alpini e la mancanza di libertà del periodo di naia, mi portava a sognare leggendo tutto sui viaggi in moto nel deserto.
Era il mitico periodo delle Parigi-Dakar, di cavalieri come Meoni, Sala, De Petri, Orioli, Picco, per citarne alcuni, che portavano all’estremo, in posti esotici, le loro fantastiche moto.
Un giorno, mi ripetevo a mente, un giorno ci andrò anche io, in sella alla MIA moto. Poi come spesso accade nel percorso della vita, si incontrano bivi e si scelgono strade che allontanano dai sogni giovanili, che rimangono seppelliti in polverosi cassetti. Finché un giorno, inaspettatamente, quasi per magia, quelle stesse scelte riportano a galla quel sogno dimenticato. Così la decisione di fare questo viaggio, di farlo “fuori rotta”, mi aggrego ad Azzurrorosa, che ha in programma il viaggio dei miei sogni.
Da tempo conosco Mirco e Miria, ma è la prima volta che affronto un viaggio con loro, sapendo che faremo percorsi fuori dalle rotte classiche e con tanto Off-Road, la cosa mi intriga e mi impensierisce ma.. passa subito, conosco la loro preparazione sul territorio, cosa non banale quando si esce da rotte turistiche per affrontare percorsi poco o raramente battuti, dove un piccolo imprevisto può diventare anche pericoloso.
E’ l’ora dell’appuntamento, il momento che preparo da mesi, e che aspetto da una vita, coinvolgo l’amico Marco che appena sente parlare del progetto si aggrega con entusiasmo. Il viaggio in Nave dura un paio di giorni ma, in compagnia di Mirco, Alessandro, Roberto e Francesco, sembra volare. Naturalmente l’anima romagnola della compagnia prende subito il sopravvento, così non manca il tavolino di plastica imbandito di piade e salumi e buon vino; l’abbondante dose di buonissima focaccia genovese di Danilo invece, ha avuto vita breve , buona parte divorata a Genova. Lo sbarco e l’estenuante attesa, in un caotico ed un po’ disorganizzato controllo di dogana, viene ripagato dal primo approccio in terra di Marocco, il tratto di strada dal porto fino a Tangeri, rivela una terra che non mi aspettavo, vedo più Mediterraneo che Africa, recenti villette si affacciano su una baia dal mare blu, in una cornice di verde che contrasta con la terra rossa, ed a tratti mi ricorda alcuni blasonati posti del nostro bel paese. Tangeri è una città in gran fermento,cantieri ovunque e gente che lavora di gran lena, si affaccia al mare con la modernità di un paese che vuole un ruolo di primo piano puntando molto sul turismo, la parte centrale della città invece mantiene il suo fascino antico, un po’ bohémien, fatto di vivi e caotici mercati, con colori accesi e profumi di spezie e frutti. Man mano che ci addentriamo nel paese come una carovana beduina, le terre rosse e sabbiose che mi aspettavo, pian piano prendono il posto delle verdi pianure ben coltivate del nord, ora il paesaggio sembra sempre più brullo e desertico.
Arriviamo a Marrakech, una delle più grandi ed importanti città imperiali del Marocco, incontriamo e conosciamo il resto del gruppo che ci ha raggiunti per via aerea, a recuperare le loro moto sul carrello.
Primo giorno. Ansiosi ed emozionati iniziamo il viaggio vero e proprio, appena usciti dalla città, affrontiamo un bel percorso sterrato, una ripida e lunga ascesa con diversi tornanti a toglierci la ruggine con i primi sterrati di stagione, non particolarmente tecnico ma non del tutto banale per chi alle prime armi, comunque arriviamo tutti bene in cima al Tiz’n Test, 2200mt il sole picchia forte ma l’aria è frizzantina. Attraversiamo villaggi dove il tempo sembra essersi fermato, il gruppo, molto defilato per evitare la polvere di chi precede, si ferma per una pausa forzata, dobbiamo far fronte a qualche noia tecnica, Claudio a bordo della sua HP2 fora l’anteriore mentre Giulia, la più giovane del gruppo, lamenta una dissaldatura al cruscotto della sua Africa Twin. Così, improvvisando un crick di pietre, per sollevare la moto di Claudio, trovammo un giovane saldatore locale a cui Giulia promise le nozze se avesse risolto il problema, naturalmente una nuvola di curiosi si raccolse attorno a Giulia e la sua moto, diventata lo spettacolo del giorno, e Claudio restò presto solo con i suoi problemi, non fosse per il buon Mirco ed Alessandro (Lex) che si adoperarono a risolverli. Per quanto ognuno speri di non averne mai, un viaggio con qualche piccolo inconveniente, è come il sale per una pietanza, poco ma ci deve essere. Così il tempo “perso” per risolvere qualche noia, diventa parte del viaggio, oltretutto Lex ha avuto occasione di abbronzarsi.... come un’aragosta.
Non fosse stato per questo inconveniente, saremmo passati rapidi in mezzo a quelle quattro case costruite in mezzo al nulla, invece si presenta l’occasione di fermarsi ed aver il tempo di riflettere, scoprendo persone, volti e realtà molto diverse dalle nostre, un modo di vivere fatto di cose semplici, che noi, nella nostra frenesia quotidiana, abbiamo dimenticato o che ci sembrano distanti nella memoria.
L’Atlante scorre lentamente nella sua maestosa bellezza, le foto, per quanto belle, non riescono a catturare, l’intera cornice di emozioni, il caldo, l’aria, gli odori, rimangono dove sono, possiamo solo portare con noi i ricordi di questo insieme.
Giungiamo in un piccolo e modesto hotel a Taliouline, paesino sperduto ai piedi del Tubkal (4165 mt), da dove partono le spedizioni per la montagna più alta del Marocco e di tutto il nord Africa. Ci raccogliamo per la cena sotto un pergolato, dove il piatto Re della cucina marocchina fa sfoggio di se nelle sue varianti di pesce, pollo e verdure, è il Tajin, un piatto unico cucinato lento in una pirofila chiusa di terracotta. Sarà il piatto protagonista delle nostre cene durante tutto il viaggio e, per quanto ottimo, verso la fine avevo visioni di pizze e spaghetti.
Dopo l’antipasto off-road del primo giorno, oggi le cose si fanno toste,fuori da ogni percorso turistico, i km aumentano ed il tragitto prevede l’attraversamento dell’Atlante lungo pietraie decisamente impegnative in particolare per le grosse bicilindriche, qualcuno preferisce l’alternativa stradale altrettanto bella, ma la maggior parte affronta stoicamente l’intero tracciato fino a scendere verso il deserto con il suo paesaggio brullo per un primo assaggio di savana. La strada molto rovinata e pietrosa, sembra non terminare mai mettendo a dura prova meccaniche e piloti, il tragitto è faticoso ma l’andatura è sorprendentemente buona , viaggiamo tutti compatti ed anche chi si ferma giustamente a far foto non incide sul buon ritmo, in fondo siamo turisti e non siamo in una prova speciale, ci godiamo un paesaggio che molti non vedono. Scrutare questa stradina pietrosa, sinuosa a perdita d’occhio tra i monti, vecchie montagne che mostrano attraverso gli strati geologici tutta la loro età, è uno spettacolo memorabile.
Il gruppo si ricompatta e ci raggiunge il mitico “Bar Toyota” il bestione 4x4 guidato da Miria, che ci fornisce l’occasione per una pausa pranzo in mezzo alla montagna, panino e caffè, seduti sulle rocce sotto un sole impietoso ma salvati dall’aria rarefatta e soprattutto da qualche bicchiere di vino, che oltretutto contribuirà a smussare le pietre che incontreremo nella lunga discesa, anche quelle di un letto di fiume in secca, maledette pietre, ce ne fosse stata una, dico una, che fosse rimasta al suo posto al mio passaggio.
Siamo a Zagorà e l’indomani puntiamo verso nord e percorrendo la splendida valle del Draa con i suoi palmeti, vere e proprie oasi, il cui verde, contrasta con il rosso dei monti circostanti,chiamata anche valle delle
Dopo una cinquantina di chilometri stradali, abbandoniamo l’asfalto, direzione est, costeggiando il Jebel Sharro, l’emozione mi assale, ci siamo, penso fra me, qui la pista è appena visibile quindi partiamo in ordine sparso nella savana, forse siamo leoni, forse gazzelle, corriamo veloci in quel che sembra ancora un sogno, vedo i miei compagni di viaggio a destra ed a sinistra sollevare nuvole di sabbia rossa, sembriamo una mandria impazzita, sono qui, nel deserto con la mia moto e per un attimo ripenso a quel giovane alpino steso sulla branda a leggere e guardare foto del deserto.
Ritorno subito in me quando il terreno comincia ad essere eccessivamente molle, troppo molle, ecco il “fesh fesh”, rido ancora quando ne sentii parlare durante il briefing di Mirco che spiegava le difficoltà che avremmo incontrato, forse l’unico del gruppo a non sapere cosa fosse, finsi di saperlo per non fare figuracce, poi in quella giornata presi Mirco da parte chiedendogli cosa czz fosse sto “fesh fesh” e ridendo rispose “Quello che hai appena fatto!!”
In breve si tratta di una polvere di sabbia sollevata nel tempo dal vento o dal passaggio di altri mezzi, che depositandosi forma una superficie simile al borotalco dove guidare è decisamente difficile, se molli il gas la moto sembra un cavallo imbizzarrito, per cui meglio tener la moto in leggera accelerazione, solo che non puoi accelerare all’infinito, ci misi un po’ a prendere le misure trovando il giusto compromesso tra gas e pesi, per fortuna erano tratti relativamente corti altrimenti sarebbe stato molto complicato, prima o poi devi mollare sperando di essere sul duro, se no cominci a remare come un matto oppure vai in terra, soprattutto con moto molto “cariche” sull’anteriore come la mia.
Arriviamo così nei pressi di Merzouga,con le sue maestose dune, “faremo una giornata di pausa” recitava il programma, “coccolati dalle comodità dell’hotel a ridosso delle dune con tutti i comfort tra piscina,sole e centro benessere...”. Così non è stato, bellamente snobbati i frivoli intrattenimenti, noleggiamo 6 ktm 450 e, dopo un po’ di sacra scuola con Mirco su piccole dune prese ad esempio, ci addentriamo nell’Erg di Merzouga guidati da Ali, la nostra super guida marocchina, gran manico e numeri da circo a bordo della sua ktm. Mi sembrava di essere su di un ottovolante, la moto sfidava la legge di gravità portandomi incredibilmente in cima alla duna affrontando pendenze di sabbia per me inconsuete, fidandomi del mezzo spalancai il gas ed “ooopla” fui su, fantastico. Mauro, dopo un’oretta di montagne russe, chiede una sosta per bere qualcosa, nella frenesia di partire per questo giro, “dimentica” il camelbag, d’altronde, dice lui scherzosamente “siamo nel deserto mica posso pensare di portarmi dietro anche l’acqua!!!”. Ali che evidentemente conosce i suoi polli, ha già programmato una sosta in un’oasi per riposare e bere un buon the nel deserto ai piedi di un’enorme duna.
Conosciamo un francese, dice di essere un artista vagabondo, ci offre quello che sarà il The più buono di tutto il giro, ci sono anche delle tende per chi vuole passare la notte fra le dune, ma noi abbiamo altri programmi e riprendiamo la nostra scorribanda sulla sabbia desertica.
Siamo predoni del deserto, no calma, forse più polli del deserto, presi dall’entusiasmo e dalla voglia di sperimentare non mancano cadute e situazioni di fantozziana misura, le dune tutt’altro che soffici, a me ed altri lasciano il segno nell’orgoglio, ma su Roberto e Paolo anche sulle costole, fortunatamente siamo motociclisti, non calciatori, stoicamente e sopportando il dolore o forse semplicemente facendo finta, della serie “mi son fatto niente”, terminiamo tutti il giro fino alla fine. Ma in fondo Roberto lo capisco, tutto il giorno sul furgone a veder noi divertirci in moto, ogni ora che passava era un giro di molla sulla schiena, e carica che ti ricarica, appena si è presentata l’occasione,ha inforcato quella bestia di moto ed schizzato via fra le dune come la pallina di un flipper, dopo il fattaccio il suo cruccio maggiore non era ne la botta ne il dolore ne i nostri sfottò bastardi , ma quale scusa avrebbe raccontato una volta a casa, visto che era partito su un Daily per scassarsi su una Duna...
Siamo a Venerdì, tappa da Merzouga – Boulmane dades, molto lunga e bella torniamo sull’Atlante e attraversiamo le gole del Todrà e Dades, mi ricordano i paesaggi del Grand Canyon dell’Arizona ed in effetti siamo più o meno allo stesso parallelo. Inutile dire che questa è una delle più belle strade che abbia mai percorso, una di quelle che ti stampi in mente tra le meraviglie viste, e per quel che mi riguarda, viste in moto.
L’ultimo giorno del giro nella “valle delle rose” dopo Ouerzazate, bellissima città del deserto, lasciamo la strada asfaltata per addentrarci con un lungo sterrato, nel “deserto di tartari” una immensa spianata dove vengono girati molti dei film degli Studios, incontriamo il set della città di Troia dell’omonimo film “Troy” girato con Brad Pitt, ma lui non c’era, lo dico per le fan, così non si strappano i capelli.
Devo dire che non mi ritengo un motociclista da gruppo o da raduni, non sono asociale, ma per me viaggiare in moto è spesso anche un viaggio introspettivo, preferisco quasi sempre compagnie poco numerose per essere più agili e snelli nei movimenti, ma anche per un contatto più diretto. Ammetto però che questo gruppo, non so se per merito di qualcuno o per fortuna, è riuscito azzeccato, si viaggiava bene e mi son trovato benissimo con tutti, legando istantaneamente, di solito ci metto un po’. Gruppo vario per esperienze e caratteri, dal bontempone che strappava sempre una risata a tutti malgrado il suo lavoro i cui clienti non tornano a lamentarsi.... MAI!(e ci mancherebbe!!) C’era il Milanese incazzoso (per finta), ancora rido se penso ai Gechi, roba da Zelig!! Poi c’era chi elargiva benevole benedizioni, però “dette a modo”, il gran manico bordo di una GS con “zavorrina fotografa” che ha affrontato anche l’offroad più impegnativo, chi con qualche anno in più, raccontava storie da farci un film, e poi come non citare Elisabetta madre apprensiva di Giulia, ma le mamme son così anche se a volte con ragione, fantastiche a bordo delle loro due Africa Twin tassellate da combattimento, che hanno ingentilito questo gruppo di rudi motociclisti facendoci talvolta anche mangiare la polvere.
Insomma un giro bello e divertente....... Lo porterò nel cuore. Gianluca Guarato (Ike-Gs) Guarda le foto Marocco, Bicilindrici nel Deserto aprile 2016
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